Quantcast
Channel: S T R A V A G A N Z A
Viewing all articles
Browse latest Browse all 3442

LE DIETE NON FUNZIONANO

$
0
0



Sto seguendo la dieta dei trenta giorni. Finora ho perso 15 giorni.
(Totie Fields)


Non sono una nutrizionista, né una biologa e neppure un medico. Sono una donna. E, come tale, vivo bombardata sin da piccola da una raffica di informazioni relative alle diete. Per anni le riviste femminili mi han detto come e perché dovevo drenare, sgonfiare, depurarmi, dimagrire, rassodare, ridisegnare, perdere peso, taglie, centimetri “lì dove serve!”. Gli spot pubblicitari a cui sono sottoposta mi parlano in continuazione di pillole, beveroni, bustine, compresse, integratori, sciroppi e di come gli stessi mi farebbero perdere peso senza fatica, e di come questo dimagrimento mi porterebbe sicuro successo e felicità.

E così, io come voi, ho battezzato innumerevoli diete di lunedì (per poi interromperle il giovedì), annunciando orgogliosamente agli altri, ma soprattutto a me stessa, “da oggi comincio la dieta”; ho appeso al frigorifero tabelle, conta calorie, menu settimanali, comprato bilance di precisione, metri da sarta, e disseminato nei pensili della cucina messaggi minatori rivolti a me medesima (“non aprire questo vasetto!”), per evitare di sgarrare. Per la mia generazione frasi come “ti vedo dimagrita” o “quell’abito ti snellisce” sono il miglior complimento che si possa ricevere (e fare). “Ricordati che devi dimagrire” è il nostro undicesimo comandamento. Essere a dieta è considerato uno stato normale, oscillare tra rinunce e sensi di colpa è un sentimento comune, citare nello stesso pomeriggio Coco Chanel – “non si è mai abbastanza magri, né abbastanza ricchi” o “diets always begins tomorrow” (le diete iniziano sempre domani) – è una dolce frustrazione compagna di molte. E anche quando finalmente siamo riuscite a perdere qualche chilo, erano sempre i chili migliori che avevamo: seno, guance, buonumore, equilibrio, senso dell’umorismo!

Quindi, nonostante non sia uno scienziato, credo conveniate che io possa liberamente affermare, per esperienza diretta, indiretta (le mie amiche, compagne e colleghe) e induttiva (le donne di cui leggo i blog, quelle che ingrassano i fatturati dell’industria delle diete, quelle per cui vengono scritti fiumi di inchiostro sui magazine specializzati), di sapere parecchie cose sulle diete.

Ma in particolare ne so una: le diete non funzionano. Se funzionassero, io e tutte le donne di cui sopra saremmo magre.

Spesso noi donne seguiamo una dieta senza che ciò sia dettato da esigenze di salute, ma unicamente per ragioni estetiche. Siamo tutte ossessionate da un ideale estetico e sociale che ci impone un unico modello: essere magre, avere un corpo asciutto e sodo, senza un filo di cellulite, persempregiovane. Per questo motivo ci impegniamo come forsennate ponendo nelle diete un’abnegazione totale, perché dimagrire è, per noi, non solo una perdita di peso, ma un modo per affermare noi stesse e uno status sociale: dobbiamo essere magre, o almeno desiderare di diventarlo.

Così ci imbarchiamo nell’odissea della dieta, spesso fai da te, e spesso lasciandoci sedurre da facili imbonitori che ci promettono di perdere 4 o 5 chili in maniera indolore con tecniche pressoché infallibili: fare la fame con restrizioni caloriche. Avete presente la colazione, il pranzo, la cena? Be’, le donne a dieta no! Vien da sé che se non si mangia nulla o non si mangia abbastanza, il nostro peso diminuisce.

Quando si comincia una dieta, entra però in gioco un forte elemento psicologico: siamo pienamente consapevoli di fare qualcosa di punitivo. E, oltretutto, ogni donna che abbia provato una dieta sa perfettamente che dopo aver perso qualche chilo gli stessi tornano a farci visita, si insediano su fianchi, cosce, addome e guance e sono sempre di più. Lo sappiamo già prima di cominciare che la dieta non è altro che giorni di privazione e stenti per dimagrire, che precedono giorni di sconforto e delusione per essere nuovamente ingrassate. Le donne sono consce del fatto che le diete non funzionano (altrimenti non chiederebbero “funziona?” ogni volta che l’amica consiglia loro una dieta), ma hanno bisogno di credere che questa volta non sarà così. Si fanno allora abbindolare dai messaggi che promettono dimagrimento e felicità, comprano l’acqua che drena, lo yogurt che sgonfia, la crema che snellisce mentre dormi, il fango che fa piatta la pancia, le barrette che le faranno rientrare nei jeans del liceo (mi son sempre chiesta: ma perché mai dovremmo rientrare in un paio di jeans di vent’anni fa? Non faremmo prima a comprarne di nuovi, alla moda e più comodi?) o i cereali che ci faranno conquistare la sicurezza in noi stesse, giorno dopo giorno, in una settimana. E inizia la guerra, a colpi di fuoco amico, contro il nostro corpo. Ma nella guerra tra te e te non potrai che uscirne sempre sconfitta, no?

Le diete non funzionano perché sono contronatura

La dieta è incontrovertibilmente una privazione, una punizione masochistica che imponiamo al nostro corpo. Rassegnatevi: a nessuna donna piace la dieta. È un obbligo morale a cui sottostiamo a malincuore, ma quando siamo nell’intimità del nostro cucinino, sole e lontane da occhi indiscreti, e dobbiamo rinunciare al nostro piatto preferito, non ce la facciamo proprio a volerci così male, quindi spesso sgarriamo. E ciò finisce per farci sentire irrimediabilmente, terribilmente, inconfessabilmente in colpa. Non ci credete? Ingenue… non avete mai sentito uscire dalla vostra bocca frasi tipo: “era solo una piccola porzione” davanti a una fiamminga di tagliatelle da sfamare un’intera famiglia; oppure “ne ho mangiato solo un pezzettino”, sì, un pezzettino da mezzo chilo; o anche “oggi non ho praticamente pranzato”, ma in realtà avete fatto un pasto completo; “ne ho bevuto solo un bicchiere”, e allora chi ha finito la bottiglia? A forza di indulgenze, omissioni e prese in giro, secondo uno studio condotto da un’agenzia inglese, sono ben 474 le bugie che noi donne ci diciamo ogni anno quando si tratta di cibo. Si tratta in generale di negare l’evidenza e, in poche parole, di indorarci l’amara pillola del senso di colpa. Insomma, ce la raccontiamo. Come quando ci giustifichiamo con frasi tipo “mangio cioccolato perché ho bisogno di affetto”. Perché mai dovremmo trovare una scusa per mangiare cioccolato invece di farlo in santa pace? Il fatto è che non è socialmente accettabile che noi non ci sentiamo in colpa, e nella società in cui viviamo, in cui l’immagine è più importante della realtà, certe piccole bugie sono tollerate in virtù di un valore ben più alto, quello dell’apparenza: ufficialmente siamo a dieta (lo abbiamo scritto sulla bacheca di Facebook, su Twitter e sul nostro Tumblr, no?) e già questo ci fa sentire meglio. Ma non diciamoci che una cosa che odiamo e disprezziamo come la dieta, alla quale sappiamo già di sgarrare, perché non sarebbe umanamente possibile fare altrimenti, possa funzionare! Siamo dunque tutte consapevoli che le diete sono l’invenzione più triste e martoriante della nostra società? Bene, e allora chi può amare le diete?

Le uniche persone che amano le diete sono quelle che lavorano nell’industria dei prodotti dimagranti, light o dietetici, che si arricchisce grazie al desiderio che le donne hanno di perdere peso. Quest’industria pensa evidentemente che fare la dieta sia una cosa bella e desiderabile perché non manca di comunicarcelo tramite incessanti messaggi pubblicitari. Ci avete mai fatto caso? Donne felicissime di sostituire il proprio pasto con una barretta che ha il sapore e la consistenza del polistirolo, di ingurgitare improbabili beveroni dai colori tutt’altro che invitanti, di inghiottire pasticche grandi come palline da golf, convinte di far del bene a se stesse praticando restrizioni alimentari da carestia.

In realtà le diete non funzionano, semplicemente perché non devono funzionare e il fatto che una tira l’altra è alla base della loro stessa esistenza

Ad esempio, avete mai pensato ai nomi delle diete: è un puro esercizio di branding. Ogni dieta è un nome, un brand, una questione puramente di marketing e notiziabilità con il solo scopo mediatico di fare moda: il crudismo, la dissociata, la Scarsdale, quella del fantino, la Beverly Hills, quella del minestrone, le monoalimento, la cronodieta, senza considerare quelle associate al nome delle celebrità (da Kim Kardashian a Madonna, da Paris Hilton a Jessica Simpson) o quelle che hanno fatto arricchire i loro inventori (Dukan o Atkins, per esempio), accomunate dal fatto di non avere la minima garanzia di risultati duraturi.

Pensiamo di farci del bene (perché tutti i messaggi che riceviamo a corredo delle pubblicità di diete inducono a convincerci di questo), ma in realtà ci stiamo insinuando in un tunnel senza ritorno. Le diete non sono la giusta risposta alla perdita di peso, ma solo una trovata commerciale e di marketing per vendere prodotti dimagranti e alimenti light e favorire l’industria dell’ansia per il corpo. Cominciate una dieta, e ce ne sarà sempre un’altra da provare.

Una delle attiviste più agguerrite nel denunciare questo assurdo e insano paradosso delle diete e a scagliarsi contro l’industria dei prodotti dimagranti è la psicoterapeuta inglese Susie Orbach (da oltre trent’anni si occupa di disordini alimentari ed è autrice di vari libri in materia, tra cui Corpi, edito in Italia da Codice Edizioni), la quale sostiene che se le diete funzionassero basterebbe seguirne una per essere a posto tutta la vita. E invece, una volta cominciata la prima, poi si è destinati a stare a dieta per sempre… e una vita a dieta, che razza di vita è? Il gruppo di ricerca guidato dalla Orbach, promotore anche della campagna Ditching Dieting, ha dimostrato che il 95 per cento delle persone che ha perso peso grazie a una dieta ha riacquistato tutti i chili (e anche di più) nel giro di cinque anni.

In pratica, le diete ipocaloriche ingannano il nostro metabolismo, simulando una situazione di emergenza e obbligandolo a rallentare e ad assorbire il nutrimento necessario al funzionamento del corpo da quel poco di cibo che viene ingerito. Finita la dieta, perché siamo soddisfatte del risultato ottenuto (okay, siamo entrate nei jeans del liceo!), o interrotta perché limitativa (i nostri amici ci evitano, nessuno ci invita a cena e il macellaio si rifiuta di tagliarci l’ennesima fetta di prosciutto spessa come una ciglia), o inconciliabile con i ritmi e la logistica delle nostre vite (al bar sotto l’ufficio hanno messo un cartello: “non chiedeteci di contare le foglie di lattuga nelle nostre insalate”), il metabolismo ingannevolmente rallentato resterà settato in posizione di emergenza, quindi continuerà ad assorbire tutto il cibo che viene ingerito con la conseguenza che si riacquisteranno i chili persi con tanto di interessi. Che fare? Quando sarò ri-ingrassata mi sentirò sconfitta, frustrata e mi rifugerò nell’ennesima fallimentare dieta, aspettandomi che ripetere la stessa cosa mi porti a risultati diversi. E perché mai dovrebbe? Si tratta del cosiddetto effetto yo-yo, così chiamato perché, proprio come nel giochino di legno, i chili vanno e vengono in maniera ciclica, alternati a lanci e rilanci di diete. Questo circolo vizioso di perdita e recupero di peso, che è la conseguenza più frequente delle diete dimagranti fatte solo per ragioni estetiche, è il principale fattore di rischio per l’obesità. Si tratta di una trappola, una fat trap, come la chiamano gli anglosassoni. È qui che entra in gioco il paradosso che fa più arrabbiare la Orbach: l’industria delle diete si basa sul continuo fallimento dei suoi stessi prodotti e risultati. Le aziende che pubblicizzano prodotti dimagranti, i magazine che scrivono di diete e i programmi televisivi sulla perdita di peso lo fanno spesso con messaggi scorretti e ingannevoli, e senza le sufficienti informazioni al consumatore: dovrebbero dire “probabilmente dimagrirai qualche chilo se ti attieni rigorosamente a ciò che ti dico, ma avrai la certezza pressoché matematica di riprendere ogni grammo”, oppure “ti piacerebbe stare a dieta tutta la vita con gravi conseguenze per i tuoi reni, il tuo fegato, il tuo cuore e la tua psiche?” In certi casi dovrebbero riportare la scritta: “nuoce gravemente alla felicità”.

L’industria delle diete si presenta come una forza benigna, ma in realtà provoca alle persone gravi scompensi per la propria salute, sia fisica sia mentale, perché si è indotti a credere che i fallimenti siano dovuti alla scarsa motivazione, ma in realtà la questione è fisiologica e il più delle volte non ha nulla a che fare con la nostra tenacia.

Le diete trovano terreno fertile in un’epoca di prosperità e abbondanza – in cui, per capirci, il cibo è proprio l’ultima cosa che manca e mangiare non è solo un bisogno primario, ma soprattutto un passatempo – e si fortificano grazie a un substrato mediatico che ci rimbambisce di messaggi schizofrenici: i programmi televisivi con chef, prove del cuoco, vip ai fornelli, cotti e mangiati, boss delle torte sono intervallati da altrettanti programmi sugli obesi, extreme makeover, famiglie a dieta, grassi contro magri, dimagrire con gusto. Nei magazine le pagine delle ricette precedono quelle delle creme dimagranti e degli integratori, al supermercato i prodotti dietetici sono a fianco alle bombe caloriche, i bestseller sono libri di cucina, seguiti da quelli sulle diete.

Le diete non funzionano soprattutto prima dell’estate o dopo Capodanno

Puntualmente ogni anno, in primavera, inizia il bombardamento mediatico che ci suggerisce di perdere qualche chilo prima delle vacanze: “perdi cinque chili in un mese”, “in quindici giorni”, “in una settimana”, “in ventiquattrore” (in ventiquattrore?), e via via con il countdown che precede il mese di agosto. E tutti a domandarci “sei pronta per la prova costume?”, manco fosse l’esame di maturità. Vi siete mai chieste chi sia quello str**** che ha inventato la “prova costume”? Non vi puzza di trovata pubblicitaria dell’industria delle diete? Perché mai dovremmo, ogni dannata estate, superare una prova? E, soprattutto, si ripete sempre la famigerata e spudorata violenza psicologica del waiting to be thin – in attesa di essere di magri – che ci impone di procrastinare quello che vorremmo fare (metterci un costume, fare un colloquio di lavoro, comprare una minigonna, tagliarci i capelli) al momento in cui saremo sufficientemente magri per farlo. Così, ogni anno, ci ricaschiamo, come se fossimo affetti da un’amnesia… Ma si sa, le prove non finiscono mai: sbaglia chi crede che il momento dell’anno più stressante per i dietofagi sia l’estate, in realtà sono le festività natalizie. In quel periodo non si fa altro che parlare di cosa e di quanto si mangerà, di bilancia e di chili di troppo. E dopo le feste è obbligatorio dover perdere i chili che abbiamo acquistato e, naturalmente, farlo entro gennaio. Gli inglesi hanno perfino coniato il nome janopause (pausa di gennaio) per indicare un periodo di sobrietà, dieta e depurazione dopo le abbuffate di dicembre, come se un mese di restrizioni fosse un valido alibi per la propria coscienza. Ma le feste non eran fatte apposta per essere santificate ingozzandoci di pandori, panettoni, zamponi, lenticchie, tacchini, pranzi di Natale, Cenoni di Capodanno e calze della Befana? Non ci avevano ammorbato per tutto dicembre con servizi tv, numeri speciali di riviste con ricette di Natale, menu di Capodanno, offerte imperdibili e così via? Se dicembre è il mese più ghiotto per i fatturati dell’industria alimentare, gennaio lo è per l’industria della dieta. E se vi dicessi che i grandi colossi alimentari sono gli stessi che detengono i marchi di prodotti dietetici? Heinz controlla Weight Watchers, Unilever controlla Slimfast, per esempio. Sono le stesse industrie che contribuiscono a favorire un comportamento alimentare scorretto (come vedremo al capitolo quinto). Se vi dicessi che la spinta moderna all’ideale di magrezza corrisponde a un ormai consolidato aumento dell’obesità? Vi siete chieste come è possibile che noi riusciamo a essere contemporaneamente un popolo perennemente a dieta e sempre più obeso? In un caso e nell’altro, ci sono interessi commerciali da sfamare. In ossequio a queste logiche abbiamo disimparato a nutrirci, quello che è l’atto istintivo più naturale lo abbiamo delegato ad altri.

Dunque, tornando a quel che è il primo motivo per non cominciare una dieta: le diete non funzionano. Se le diete funzionassero come potrebbe prosperare quella fiorentissima industria chiamata “infelicità femminile”, fatta di ideali di magrezza irraggiungibili, messaggi menzogneri di promesse di felicità e successo, sensi di colpa, prove da superare e schemi in cui ricadere, frustrazione e odio per il proprio corpo? La realtà è che le donne frustrate sono ottime consumatrici. Ma potete tirare un sospiro di sollievo, noi donne lo abbiamo capito, ci stiamo ribellando, e questo sistema malato ha i minuti contati.

Uno dei tanti spot di integratori dietetici che passano in TV recita: “È l’ora di essere la donna che vuoi”. Be’, è ora di essere la donna che voglio, non più la donna che vuoi tu!

Testo di Martina Liverani  pubblicato in "10 Ottimi Motivi per Non Cominciare una Dieta", Laurana Editore, Milano, 2012.  Digitalizzati, adattato e illustrato per Leopoldo Costa

Viewing all articles
Browse latest Browse all 3442

Trending Articles