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SICILIA - IL GRANAIO DI ROMA

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Catone il Censore, il celebre politico e oratore, la definì “il granaio della Repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito”. Effettivamente la Sicilia, conquistata alla fine della prima guerra punica (241 a.C.), fu un centro di vitale importanza per la ricchezza e la prosperità della Repubblica e, in seguito, dell’Impero. «La regione ha avuto un ruolo decisivo nell’espansionismo romano nel Mediterraneo», spiega Arnaldo Marcone, docente di Storia romana all’Università di Roma Tre. «E ha rappresentato un precedente organizzativo per le conquiste successive».

Divenuta la prima provincia romana, dal 227 l’isola fu affidata a un propretore (coadiuvato da un questore) e, a partire dal regno di Augusto (che la riformò e vi fondò nuove colonie e municipi), a un proconsole proveniente dal Senato. Insomma, una stella di prima grandezza nei dominii romani. E il suo ruolo strategico verrà meno nel V secolo, in piena decadenza dell’Impero romano, quando fu invasa dai Vandali di Genserico, giunti dall’Africa.

Conquista strategica.

Le ragioni per cui Roma si è tanto interessata alla Sicilia sono tre: una politica, ovvero la lotta per la supremazia nel mar Mediterraneo; una strategica, che riteneva il territorio una testa di ponte per la conquista dell’Africa; e infine, una economica: la Repubblica aveva costantemente bisogno di scorte alimentari per le truppe in guerra e per la crescente popolazione. Dalla Sicilia, come dall’Egitto e dal Nord Africa, arrivava il prezioso grano.

L’assoggettamento di tutta l’isola fu lungo e difficile. Inizialmente alcune città, come Siracusa, rimasero governate da tiranni locali, alleati di Roma contro Cartagine durante la prima guerra punica. Ma una nuova invasione cartaginese, che condusse alla Seconda guerra punica, rimescolò le carte, tra tradimenti e nuove alleanze, e i soldati romani conquistarono le aree ribelli strappandole ai nemici dopo logoranti battaglie. Quando Siracusa cadde in mani romane, nel 212, divenne il principale centro amministrativo della Provincia e il governatore Marco Valerio Levino fu libero di stabilizzare l’isola e riorganizzarla.

Latinizzata. 

Roma, oltre che sfruttare le ricchezze agricole dell’isola, “latinizzò” lentamente l’economia. «La vita delle città siciliane, in particolare di quelle economicamente più rilevanti », spiega Marcone, «è stata senza dubbio molto cambiata dai Romani, a cominciare dalla parte occidentale della Sicilia, in precedenza controllata dai Cartaginesi».

I Romani sapevano come amministrare i grandi territori agricoli. E agirono con metodo. Città e villaggi vennero suddivisi in quattro categorie, a seconda del loro status e del comportamento tenuto durante le guerre puniche. Accanto alle civitates foederatae (cui venivano riservate, per trattato, l’esenzione dalle tasse e autonomie amministrative, come Messina e Taormina) e a quelle liberae (che lo erano per concessione diretta di Roma, come Palermo), vi erano infatti città soggette alla decuma, ovvero il tributo corrispondente a un decimo del raccolto, mentre ai centri che avevano resistito fino all’ultimo alla forza militare romana, come Siracusa, furono confiscati tutti i terreni.

Queste zone “ex ribelli” divennero ager publicus, ovvero terreni dello Stato e spesso date in affitto con animatissime aste pubbliche. Tale provvedimento portò la regione verso un’agricoltura di tipo intensivo e altamente specializzato, in mano però a pochi, ricchi proprietari: «Il governo romano», scrive lo storico Guido Crainz nel volume L’uomo e il tempo (Donzelli), «per estinguere i propri debiti verso i cittadini romani e italici più abbienti, permise loro di impadronirsi di ingenti terreni dell’agro pubblico, e ciò contribuì all’espansione del latifondo».

Gallina dalle uova d’oro. 

La Sicilia si trasformò quindi in un enorme campo coltivato: viti, ulivi, orzo e soprattutto frumento per il mercato esterno.

Per capire l’importanza che il grano aveva per la capitale basti pensare che ogni anno essa arrivò a importarne, non solo dalla Sicilia, più di 3 milioni di quintali (oggi se ne produce poco più del doppio), da destinarsi anche ai cittadini romani meno abbienti, che lo ricevevano gratuitamente una volta al mese. Le spighe siciliane venivano raccolte e mandate a Roma a un costo abbordabile, in quanto frutto di tasse o canoni di affitto. La merce veniva poi stipata negli horrea, i grandi magazzini della città. Si affermò così un sistema di produzione che garantiva alla Repubblica (e poi all’Impero) il massimo del profitto con il minimo della spesa.

«Nella seconda metà del II secolo a.C.», afferma lo storico polacco Adam Ziólkowski nella sua Storia di Roma (Bruno Mondadori), «esistevano due sistemi di sfruttamento intensivo della terra: quello tradizionale, praticato nelle aziende familiari a multicoltura, che producevano più che altro per i propri bisogni, e quello “moderno”, basato su fondi di medie dimensioni (villae) lavorati da schiavi e specializzati nelle colture destinate ai mercati non locali». Quello degli schiavi, che vivevano in condizioni tremende ed erano numerosissimi, fu un problema ricorrente per il governo centrale, che in Sicilia dovette affrontare almeno un paio di lunghe e violente rivolte.

Con le conquiste e l’espansione romana in Egitto e nel resto del Nord Africa, i campi di quelle terre cominciarono a far concorrenza a quelli siciliani. Ma nei centri dell’isola, ormai abitati anche da cittadini romani e aristocratici provenienti dall’Urbe, che ne fecero il loro “buen retiro”, c’erano altre ricchezze.

Lo zolfo, Le navi, Le città.

Non stiamo parlando di capre e pecore, che pure abbondavano, ma di vera industria. Cantieri navali da una parte ed estrazione dello zolfo dall’altra. Le vaste aree boschive isolane fornivano il legname per le navi fabbricate lungo le coste. Ma si producevano anche canapa e pece (usata per calafatare le navi). Lo zolfo, poi, veniva esportato in tutto l’impero. E i mercanti romano-siculi commerciavano con Gallia, Spagna e Africa. Diventando sempre più ricchi e facendo piovere una valanga di denari sulle città. «La vita di un capoluogo siciliano», racconta Marcone, «era in larga misura condizionata e scandita dalle attività di immagazzinamento e trasporto dei prodotti agricoli, soprattutto nei centri portuali».

Siracusa, la più importante città della Sicilia dell’epoca tardo-repubblicana, godeva dei vantaggi della sua posizione e rivisse i fasti dell’epoca greca. Anche se a periodi d’oro si intervallarono crisi e ondate di corruzione (esemplare il caso del governatore Verre, accusato dal Senato nel 71 a.C. e per il quale Cicerone scrisse le famose orazioni Verrine), i Romani riuscirono a valorizzare la regione costruendo case, ville padronali, teatri, terme (Catania ne aveva addirittura tre) e strade: il console Gaio Aurelio Cotta nel III secolo a.C. inaugurò il primo tratto viario, che univa Agrigento a Palermo (la Via Aurelia), mentre la Via Valeria collegò Messina a Marsala. Quanto alla parte orientale dell’isola i Romani non fecero che arricchire ed armonizzare le opere e la cultura lasciate dalla civiltà greca.

La fine deLL’impero. Purtroppo, però, lo splendore della Sicilia romana, pur tra mille contraddizioni, finì insieme a quello dell’impero, che già dalla metà del III secolo cominciò a implodere. In seguito alla divisione tra Impero d’Occidente e Impero d’Oriente (IV secolo) l’isola tornò a essere fondamentale per l’approvvigionamento di grano. Ma era troppo tardi e i tempi erano cambiati. A partire dal 440 i Vandali del re Genserico occuparono più volte porti e città siciliane, saccheggiandoli. Finché, nel 468, i Romani dovettero arrendersi e consegnare l’isola nelle mani dei tanto temuti barbari.

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Quando la Sicilia delle città-Stato parlava greco.

Prima di entrare nella sfera di influenza cartaginese e romana, tra l’VIII e il VI secolo a.C. la Sicilia era stata colonizzata da diverse città-Stato greche, che per espandere i loro commerci avevano fondando colonie in tutta l’Italia Meridionale. Sebbene inizialmente i rapporti con le popolazioni locali fossero conflittuali, in breve sorsero centri importanti come Zankle (Messina), Syraka (Siracusa), Agrigento, Catania, Gela, Milazzo.

Sviluppo.

Tutte le colonie erano amministrate come città-Stato e disponevano di grandi eserciti. Per inviare alla madrepatria derrate alimentari e i prodotti dell’artigianato siculo, fiorirono rotte commerciali dal Mediterraneo fino all’intero mar Adriatico, anche grazie all’intraprendenza di Siracusa, che nel IV secolo, governata dal tiranno Dionisio il Grande, diede impulso all’economia della zona. Durante il periodo greco, in Sicilia si svilupparono le arti e le scienze: qui vissero il matematico Archimede, i filosofi Gorgia ed Empedocle e il poeta Teocrito.

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Euno di Enna il rivoltoso.

Anche se nel complesso la dominazione romana in Sicilia fu prospera, e più tranquilla rispetto ad altre province, negli ultimi anni del II secolo a.C. l’isola venne scossa da due grandi rivolte servili, dovute alle pessime condizioni in cui versavano gli schiavi dei latifondi siciliani (lo storico Diodoro Siculo parla di quasi 200mila unità). Siciliani in rivolta. La prima insurrezione, guidata da un certo Euno di Enna, tenne impegnati i soldati romani per ben quattro anni, tra il 136 e il 132 a.C.

Proclamatosi re con il nome di Antioco, dopo aver ucciso il padrone Damofilo, lo schiavo costituì una corte e arrivò a coniare monete con la propria effigie. La rivolta si estese fino alla città di Taormina, e l’esercito ribelle arrivò a contare migliaia di soldati.

La sommossa venne sedata nel sangue dalle truppe del console Publio Rupilio: più di 30 mila siciliani persero la vita, mentre Euno finì i suoi giorni in prigionia. Una seconda guerra servile scoppiò nel 101 a.C., quando il servo Salvio Trifone aizzò gli insorti a compiere saccheggi in tutta la Sicilia. Gli schiavi tennero testa per mesi ai Romani, ma furono sconfitti definitivamente dal console Manlio Aquillio, nel 98 a.C.

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Sicilia greca vs Sicilia romana.

Politica

GRECI: Le poleis attuarono una colonizzazione di vari centri governati sul modello della città-Stato greca, che godevano di autonomie e dove il potere decisionale era in mano ai cittadini.

ROMANI: L’isola era organizzata come una provincia, quindi come parte del dominio romano, e gestita da governatori nominati a Roma. Le leggi fondamentali erano uguali in tutte le Province.

Economia

GRECI: Durante la dominazione greco-cartaginese, che rendeva l’isola variegata e con molte realtà autonome, anche le colture erano diversificate: si coltivava frutta, verdura, miele, orzo e ulivi.

ROMANI: I Romani trasformarono la Sicilia in un enorme latifondo e predilessero un’agricoltura basata su coltivazioni intensive e destinate soprattutto all’esportazione.

Arte e Cultura

GRECI: Diffusione della lingua e dell’arte ellenica, anche nel campo del teatro. Eredità rimasta poi anche ai Romani. In ogni colonia vennero edificati templi e monumenti arricchiti da sculture e affreschi.

ROMANI: Prestando meno attenzione alle arti e ai monumenti, i Romani preferironodedicarsi alla costruzione di edifici pubblici, soprattutto terme. Potenziarono l’aspetto militare e realizzarono anche nuove strade e ponti.

Di Arianna Pescini estratti "Focus Storia", n. 113, Marzo 2016, pp.14-19.  Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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