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TRASFORMAZIONE DELL'AGRICOLTURA A PARTIRE DAL XIII SECOLO

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Crescita della popolazione

A partire dalla metà del X secolo, la popolazione dell'Europa occidentale, finalmente liberata dai saccheggi dei Saraceni, dei Normanni e dei Magiari, inaugura un movimento ascensionale che è impossibile valutare con precisione, ma i cui risultati si constatano chiaramente nel corso del secolo successivo. Indiscutibilmente, l'organizzazione dominicale comincia a non essere più adatta all'eccedenza delle nascite sui decessi. Una crescente quantità di individui, costretti ad abbandonare i mansi paterni, deve cercarsi nuove risorse. Soprattutto la piccola nobiltà, i cui feudi passano solo ai primogeniti dei loro proprietari, trabocca di figli cadetti. Come è noto, fra costoro sono stati assoldati gli avventurieri normanni che hanno conquistato il sud dell'Italia, che hanno seguito il duca Guglielmo in Inghilterra e che hanno fornito gran parte dei soldati alla prima crociata.

L'immigrazione dalle campagne verso le nascenti città e la costituzione di una nuova classe di mercanti e di artigiani, che ci si rivela all'incirca nella stessa epoca, sarebbero incomprensibili senza un aumento considerevole del numero degli abitanti. Questo aumento è ancor più significativo a partire dal XII secolo, e continuerà senza interruzioni sino alla fine del XIII secolo.

Da tutto questo traggono origine due fenomeni essenziali: da una parte, il popolamento più intenso delle regioni d'Europa più anticamente abitate, dall'altra, la colonizzazione dei paesi slavi situati sulla riva destra dell'Elba e della Saale da parte di emigrati tedeschi. Infine, di pari passo con la crescente densità della popolazione e con la sua espansione verso altre regioni, si attua una profonda trasformazione della sua situazione economica e della sua condizione giuridica. Più o meno rapidamente, secondo i paesi, ha inizio un'evoluzione che, malgrado la varietà dei casi particolari, presenta nondimeno un comune orientamento in tutto l'Occidente.

I feudi cistercensi

Si è visto in precedenza che l'organizzazione patriarcale dei latifondi era completamente estranea all'idea di profitto. Il suo funzionamento aveva come unico scopo il sostentamento del signore e della sua gente. Retta dalla consuetudine, che fissava immutabilmente diritti e obblighi di ciascuno, questa organizzazione era incapace di adattarsi alle nuove circostanze che si imponevano alla società.

Non c'è alcun esempio di feudatari che prendano l'iniziativa per istituire un legame tra il vecchio ordinamento e le trasformazioni ambientali. È del tutto palese che queste trasformazioni li sconcertano. Essi si lasciano trascinare dagli avvenimenti senza cercare di approfittare dei vantaggi che l'enorme capitale fondiario di cui dispongono potrebbe assicurare loro. È evidente che non dai signori, ma dai loro uomini hanno avuto origine i mutamenti che, già a partire dalla prima metà del XII secolo, rivelano nei paesi più avanzati la decadenza del sistema signorile. Tuttavia, ciò è vero soltanto per gli antichi feudi dell'aristocrazia laica, dei vescovi e dei monasteri benedettini fondati secondo i princìpi che avevano dominato durante l'epoca carolingia. Le abbazie cistercensi fondate nell'XI secolo, vale a dire in un'epoca in cui cominciano a manifestarsi i primi sintomi di rottura dell'equilibrio tradizionale, mostrano in compenso un'amministrazione economica di un genere fino ad allora sconosciuto. Poiché nel periodo in cui queste abbazie fecero la loro comparsa tutte le terre coltivate erano già occupate, esse si insediarono quasi sempre in terreni incolti e deserti, in mezzo ai boschi, alle brughiere e alle paludi. I loro benefattori furono prodighi nel cedere loro queste lande desolate, di cui i loro possedimenti abbondavano, e che d'altronde consentivano ai monaci di vivere del lavoro delle loro mani, come prevedeva la loro regola. A differenza dei monasteri benedettini, che in linea di massima erano stati colmati di terre coltivate e già messe a frutto, i cistercensi si dedicarono fin dalle loro origini al dissodamento. Del resto, presero con sé dei frati laici, o frati conversi, che li aiutavano in questo compito gravoso, e ai quali fu affidata la coltura delle grandi fattorie o grange, che costituiscono la novità della loro economia agricola. Queste grange comprendevano una superficie notevole, solitamente di due o trecento ettari; tale area, anziché essere suddivisa in mansi, era coltivata dai conversi sotto la vigilanza di un monaco (grangia-rius), oppure da uomini venuti da fuori e impiegati come braccianti agricoli.

La servitù, che fino ad allora era stata la condizione normale dei contadini, non esiste quasi sulle terre cistercensi. Non vi sono più tracce del lavoro per corvé, né della pesante e maldestra sorveglianza dei villici di nomina ereditaria. Nulla è più lontano dalle «riserve» degli antichi feudi delle belle fattorie dell'ordine di Citeaux, con la loro amministrazione centralizzata, la loro configurazione compatta, il loro sfruttamento razionale. Alle «terre nuove» che i monasteri coltivano fa dunque da contraltare la novità dell'organizzazione economica. Ci si trova qui in presenza di un sistema che ha saputo trarre profitto con grande acume dalla crescita della popolazione. Ha fatto ricorso a questa eccedenza di lavoratori che l'antica ripartizione delle terre non permetteva di occupare. Fra questi ultimi ha certamente reclutato i suoi frati conversi, il cui numero non cessa di crescere fino alla seconda metà del XIII secolo. L'abbazia di Dunes ne contava trentasei attorno al 1150 e duecentoquarantotto cento anni dopo. E, accanto ai conversi, si sviluppa in proporzioni analoghe la partecipazione del lavoro libero fornito dagli «ospiti».2

Gli «ospiti»

Il termine «ospite» (hospes), che appare sempre più frequentemente a partire dal XII secolo, è del tutto peculiare dell'innovazione che si compie allora in seno alla classe rurale. Come indica il nome stesso, per ospite bisogna intendere un nuovo venuto, un forestiero. Si tratta insomma di una specie di colono, di un immigrato in cerca di nuove terre da coltivare. Da dove proviene? Indubbiamente, sia dalla massa di quelle creature erranti che nella medesima epoca ha fornito - come si è visto in precedenza, i primi mercanti e i primi artigiani delle città, sia dalla popolazione dominicale, alla cui condizione di servitù si è sottratto. Infatti, la normale condizione dell'ospite è la libertà. Con ogni probabilità, costui è quasi sempre figlio di genitori e a sfuggire così alle persecuzioni del suo signore, chi potrebbe identificare la sua primitiva condizione giuridica? Dato che nessuno rivendica più la sua persona, egli ormai dipende soltanto da se stesso.

 I primi dissodamenti

A questi stranieri, le terre vacanti si offrono sovrabbondanti. Immense «solitudini», foreste, brughiere, paludi, restano infatti al di fuori della proprietà privata e dipendono solo dal potere giudiziario dei principi del luogo. Per stabilirvisi, basta una semplice autorizzazione. Perché mai rifiutarla, dal momento che i nuovi arrivati non ledono alcun diritto anteriore? Tutto concorre a indicare che, in molti casi, costoro si sono messi spontaneamente a dissodare, a debbiare e a prosciugare queste lande alla maniera dei coloni nei paesi nuovi. Fin dall'inizio del XII secolo, per esempio, immigrati di condizione libera si sono insediati nei vasti spazi della «foresta di Theux», che ricadeva sotto la giurisdizione del principe vescovo di Liegi, senza esservi stati chiamati da quest'ultimo. Prima di loro nessuno si era ancora inoltrato in quei deserti. È talmente certo che il popolamento di quella zona si deve all'opera di pionieri liberi che, sino alla fine dell'Ancien Régime, la servitù è rimasta sconosciuta in questa contrada, dove si è perpetuata la loro discendenza.

Le città nuove

Ovviamente, questo primitivo sistema di occupazione non poteva durare a lungo. I proprietari di tutte le terre vergini che esistevano al di fuori dei communia signorili non tardarono ad approfittare del vantaggio che offriva loro il costante aumento della manodopera disponibile. A quei feudatari non poteva non prospettarsi l'idea semplicissima di attirare in quelle terre nuovi ospiti e di farli insediare in qualità di tributari. Essi impiegarono insomma, mutatis mutandis, il metodo di popolamento di cui il Far West americano ha fornito tanti esempi nel corso del XIX secolo. Effettivamente, la somiglianza delle «città nuove» dell'XI e del XII secolo con le towns progettate in anticipo dagli imprenditori americani lungo una linea ferroviaria è sorprendente fin nei dettagli. In entrambi i casi, si cerca di attirare l'immigrato con le condizioni materiali e personali più favorevoli, e al tempo stesso si ricorre alla pubblicità per allettarli. La carta della città nuova da creare è promulgata in tutto il paese, così come ai nostri giorni la stampa pubblica i più mirabolanti manifesti sull'avvenire, sulle risorse e sul benessere della town in formazione.

Il termine «città nuova» non è meno significativo di quello degli «ospiti» ai quali essa è destinata. Indica chiaramente che questa città è fatta per dei nuovi venuti, per dei forestieri, per degli immigrati, insomma per dei coloni. Sotto questo aspetto, il contrasto con il feudo è quanto mai evidente. Ciò è tanto più notevole in quanto quasi sempre il fondatore della città nuova è proprietario di una o più signorie feudali. Ne conosce dunque l'organizzazione, eppure si astiene accuratamente dal riproporla. Per quale motivo, se non perché la considera inadeguata a rispondere ai desideri e ai bisogni degli uomini che si propone di attirare? In nessuna regione si osserva il minimo contatto tra i vecchi feudi e le giovani città nuove, né il minimo sforzo per collegare queste ultime alle curtes dei primi o per sottometterle alla giurisdizione dei villici. In realtà, non c'è rapporto di filiazione fra queste due entità. Sono due mondi distinti.

Dal punto di vista agricolo, ciò che caratterizza le città nuove è innanzitutto il lavoro libero. Le loro carte di fondazione, il cui numero è così cospicuo dall'inizio del XII secolo alla fine del XIII, suscitano ovunque la medesima impressione. La servitù personale vi è completamente ignorata. Per giunta, i servi che vi affluiranno dall'esterno saranno affrancati dopo un anno e un giorno di residenza, benché il fondatore esenti talvolta da questa regola i servi dei propri possedimenti, temendo di assistere allo spopolamento di questi ultimi a favore della città nuova. Lo stesso avviene per le corvé. Le corvé, d'altronde, servono alla coltura della riserva signorile, e nel nuovo sito non esiste più una siffatta riserva. Tutto il suolo è ricoperto dagli appezzamenti dei contadini e ogni contadino concentra tutto il suo lavoro sulla propria terra. Tutt'al più, alla popolazione può essere qua e là imposta qualche prestazione collettiva di lavoro, come per esempio, nella carta di Lorris (1155), l'obbligo di trasportare a Orléans, una volta all'anno, il vino del re.

Quanto ai vecchi diritti dominicali di manomorta, di prima scelta, di maritaggio, naturalmente non se ne parla più. Sopravvive la «taglia», così come l'obbligo del servizio militare, ma questi oneri hanno ormai assunto un carattere pubblico, e d'altronde il prelievo della prima e l'assolvimento del secondo sono limitati e regolamentati. Invece, non è scomparso il diritto di «banno» relativo al torchio o al mulino, ma non è certo un diritto che alteri la condizione delle persone, né il suo esercizio può essere considerato uno sfruttamento. Chi mai avrebbe potuto costruire queste indispensabili attrezzature, se non il signore?

A questo punto, è importante osservare che il contadino della città nuova, se da una parte si contrappone al contadino feudale, dall'altra si avvicina al borghese. Gli statuti che lo governano sono direttamente influenzati dal diritto urbano, al punto che l'appellativo di borghese è dato assai frequentemente agli abitanti delle città nuove. Seguendo l'esempio dei borghesi, essi hanno in effetti ricevuto un'autonomia amministrativa commisurata ai loro bisogni. Il sindaco cui fanno capo non ha più nulla del carattere dei villici preposti ai possedimenti feudali; è il custode degli interessi del villaggio, e spesso, come nelle numerose città nuove affrancate grazie alla legge di Beau-mont-en-Argonne (1182), i contadini intervengono nella sua nomina. Peraltro, sempre secondo il modello urbano, le città nuove sono dotate ciascuna di uno scabinato speciale, organo del loro diritto e tribunale dei loro abitanti. Così, la nuova classe rurale ha finito per beneficiare dei progressi precedenti della borghesia.

Non è affatto vero, come si è talvolta creduto, che le città siano sorte dai villaggi; al contrario, i villaggi liberi sono stati dotati del diritto municipale nella misura in cui era applicabile nel loro contesto. È anzi curioso constatare che nella maggior parte dei casi sono state le grandi città, e non le città di successiva formazione e semirurali, a diffondere il loro diritto nelle campagne. Nel Brabante, per esempio, i duchi hanno utilizzato il diritto di Lovanio nelle carte concesse nel 1160 a Baisy, nel 1216 a Dongelberg, nel 1222 a Wavre, nel 1228 a Courrières, nel 1251 a Merchtem. Alcune carte delle città nuove si sono rivelate nella pratica così eccellenti da conoscere una straordinaria diffusione. Quella di Lorris, a partire dal 1155, è stata conferita a 83 località del Gàtinais e dell'Orleanese; quella di Beaumont, a cominciare dal 1182, a più di 500 villaggi e borghi della Champagne, della Borgogna e del Lussemburgo, quella di Prisches (1158) a una quantità di città nuove dell'Hainault e del Vermandois. Similmente, quella di Breteuil in Normandia si è diffusa largamente, nel corso del XII secolo, in Inghilterra, nel Galles e perfino in Irlanda.

Evitiamo tuttavia di spingerci troppo avanti in questo paragone tra il contadino delle città nuove e il borghese delle città vere e proprie. La libertà personale del primo trova infatti un limite nei diritti che il proprietario conserva ancora sulla terra del villaggio. L'ospite, in realtà, ne può godere in via ereditaria solo mediante il pagamento di un censo, ma la terra continua ad appartenere al signore, e dalla giurisdizione signorile dipendono tutte le questioni concernenti i terreni. Si potrebbe dire, con esattezza, che nelle città nuove la piccola coltura coincide con la grande proprietà che costituisce il substrato giuridico dell'edificio fondiario. Se non determina più la condizione degli uomini, continua a determinare quella della terra. Indubbiamente, a lungo andare il possesso del contadino si affermerà al punto di apparire esso stesso un'autentica proprietà gravata di un semplice diritto ricognitivo a profitto del signore. Resta comunque vero che questa proprietà dovrà attendere la fine dell'Ancien Régime per sbarazzarsi completamente dei legami che la ostacolano.

Le città nuove sono soltanto una delle manifestazioni del grande lavoro di dissodamento che dalla fine dell'XI secolo ha trasformato il suolo dell'Europa. Per di più, con tutti i caratteri finora esposti, se ne trovano solo nel nord della Francia, tra la Loira e la Mosa. A sud della Loira, possono essere paragonate alle bastides, come queste dovute all'iniziativa dei principi o dei grandi feudatari. In Spagna, le poblaciones delle regioni riconquistate dai cristiani ai Musulmani presentano il carattere alquanto diverso di colonizzazioni di confini militari. Quanto all'Italia, tutto fa pensare che i progressi dell'agricoltura vi si siano compiuti soprattutto grazie all'aumento del numero degli abitanti nei vecchi ambiti agricoli risalenti all'antichità, di cui gli uomini riprendono possesso alla fine delle devastazioni saracene e delle guerre intestine del X secolo. Tuttavia, al di là delle sfumature locali, il fenomeno generale è ovunque lo stesso. Su tutta la superficie dell'ex Impero carolingio, la popolazione, cresciuta in densità, moltiplica il numero dei centri abitati, da cui il lavoro libero si spinge energicamente attraverso lande desolate alla conquista di nuovi campi da coltivare.

Lavori di arginamento

Nei Paesi Bassi, il lavoro libero intraprende contemporaneamente la lotta contro le acque del mare e dei fiumi. Il sovrappopolamento, che qui si manifesta con particolare evidenza, è stato senza alcun dubbio la causa efficiente delle prime opere di prosciugamento. I documenti ci consentono di affermare che nel corso dell'XI secolo la contea di Fiandra stenta ad assicurare il sostentamento dei suoi abitanti. Sappiamo, in effetti, che nel 1066 i Fiamminghi si arruolarono in gran numero nell'esercito di Guglielmo il Conquistatore e, a spedizione compiuta, rimasero in Inghilterra dove, per circa un secolo, continuarono a raggiungerli gruppi di loro compatrioti.

Un po' più tardi, il paese fornisce alla prima crociata uno dei suoi eserciti più numerosi. Sempre nella Fiandra i principi vicini reclutano quei mercenari che, sotto il nome di geldungi, di «coterelli», di «brabantini», svolgeranno nella storia militare dell'XI e del XII secolo la stessa funzione che gli Svizzeri ebbero in quella del XVI secolo.3 In conclusione, la crescita così straordinariamente rapida delle città fiamminghe in quella stessa epoca presuppone per forza di cose un afflusso significativo della popolazione rurale verso i centri urbani. La stessa necessità di trovare nuovi mezzi di sussistenza deve aver provocato i più antichi lavori di arginamento. I conti di Fiandra intervennero assai presto per incoraggiarli e sostenerli. Anche le zone paludose (meersen, bfoeken) e le terre alluvionali erano sotto il potere del principe, il quale non poteva non vedere di buon occhio che qualcuno le rendesse coltivabili. Sotto Baldovino v (1035-1067), i progressi compiuti erano ormai di tale rilievo da indurre l'arcivescovo di Reims a congratularsi con il conte per aver saputo trasformare regioni fino ad allora improduttive in terre fertili dove pascolavano numerose le greggi. Da quel momento, tutta la regione marittima è disseminata di «stalle» e di «ovili» (vaccariae, bercariae) e, alla fine del secolo, i loro proventi sono già abbastanza considerevoli da essere oggetto di una vera e propria contabilità affidata a «notai».

Tutto ciò basta a dimostrare che i conti non introdussero l'organizzazione dominicale nelle «terre nuove» della Fiandra marittima. Gli spazi da prosciugare o da arginare furono ceduti, come era avvenuto per i terreni all'interno del paese, agli «ospiti» che andarono a stabilirvisi. Il loro stato, ancora una volta come nelle città nuove, fu quello di uomini liberi, obbligati semplicemente al pagamento di canoni in denaro o in natura. Ma le particolari condizioni che la lotta contro il mare esigeva imposero a questi uomini una collaborazione assai più stretta di quella dei contadini della terraferma. Benché le associazioni di wateringues, vale a dire i raggruppamenti obbligatori costituiti per la regolamentazione del regime delle acque e la manutenzione delle dighe nell'ambito di uno stesso distretto marittimo, non appaiano ancora nei testi delle origini, non c'è dubbio che esse siano esistite fin dall'inizio. Nel XII secolo troviamo un po' ovunque, nell'estuario della Schelda e lungo le coste del Mare del Nord, i polders, termine che sta a indicare le terre alluvionali arginate e definitivamente strappate al mare. In quella stessa epoca, le abbazie hanno seguito l'esempio del conte e si sono energicamente dedicate al prosciugamento delle acque nelle zone paludose dei loro possedimenti. Fra esse, quelle dell'ordine cistercense si distinguono in prima fila. Nel solo territorio di Hulst, attorno alla metà del XIII secolo, l'abbazia di Dunes possedeva 5000 misure di terra arginata e 2400 di terra non arginata (rispettivamente circa 2200 e 1100 ettari).

Coloni fiamminghi in Germania

A nord della Fiandra, le contee di Zelanda e d'Olanda davano prova della medesima attività. In mancanza di documenti, non possiamo conoscerne i particolari. Ma i risultati ottenuti e la fama acquisita non lasciano dubbi sui loro progressi. Infatti, la notorietà degli abitanti dei Paesi Bassi come costruttori di dighe era tale che i principi tedeschi li indussero, dall'inizio del XII secolo, a bonificare le rive dell'Elba inferiore; da qui essi non tardarono a penetrare nel Brandeburgo e nel Meclemburgo, dove la configurazione del suolo conserva in parte ancora ai nostri giorni le tracce delle loro opere. I principi che li avevano chiamati li lasciarono naturalmente in possesso della libertà personale e cedettero loro la terra a condizioni analoghe a quelle in vigore nella loro patria. Sotto il nome di flämisches Rechi si designò il diritto che quei fiamminghi portarono con sé e che rivelò alla Germania l'esistenza della classe di contadini liberi che costoro rappresentavano con tanta energia. A partire da quell'epoca, la concessione del flämisches Rechi equivalse, per la popolazione rurale, all'affrancamento.

La colonizzazione tedesca al di là dell'Elba

Coloni fiamminghi penetrarono anche in Turingia, in Sassonia, nella Lusazia e fino in Boemia. Essi possono essere dunque considerati i precursori della possente espansione coloniale che la Germania diresse verso i territori situati sulla riva destra dell'Elba e della Saale. I duchi di Sassonia e i margravi di Brandeburgo, scacciando e massacrando la popolazione slava di quelle regioni, le aprirono all'occupazione tedesca. Del resto, è sicuro che questa occupazione non avrebbe potuto assumere né l'estensione né il vigore che la caratterizzarono se, fin da quell'epoca, il suolo della madre patria non fosse stato troppo angusto per i suoi abitanti. Dalla Sassonia e dalla Turingia partirono i contadini che si stabilirono tra l'Elba e la Saale; presto li seguirono gli abitanti della Westfalia e insieme a loro si riversarono nel Meclemburgo, nel Brandeburgo e nella Lusazia. Già alla fine del XII secolo, il Meclemburgo era completamente colonizzato; il Brandeburgo lo fu nel secolo successivo. Toccò poi all'Ordine teutonico imprimere con le armi, dopo il 1230, una nuova spinta all'avanzata tedesca nella Prussia orientale, nella Livonia e nella Lettonia, portandone la punta estrema fino al golfo di Finlandia. Intanto, Bavari e Renani avanzavano a loro volta verso la Boemia, la Moravia, la Slesia, il Tirolo, fino ai confini dell'Ungheria, sovrapponendosi o giustapponendosi agli antichi abitanti slavi di quelle contrade.

Il movimento fu diretto con un'abilità pari all'energia profusa. I principi dividevano le terre conquistate fra locatores, veri e propri funzionari colonizzatori incaricati di guidare gli uomini e di ripartire fra loro le terre. I monasteri cistercensi ebbero vaste donazioni in questi spazi sottratti ai «barbari» e vi insediarono subito le loro fattorie e le loro grange. La condizione degli abitanti fu pressappoco identica a quella che, nel nord della Francia, caratterizzava gli «ospiti» delle città nuove. Gli immigrati della Germania coloniale non erano forse loro stessi, anzi, soprattutto loro degli ospiti su quel suolo straniero, dove si sostituivano agli Slavi? Lo ricevettero a titolo ereditario, mediante un modico censo, e furono gratificati della libertà personale, del resto indispensabile in ogni terra di colonizzazione. Così, la nuova Germania non si contrappose alla vecchia Germania solo per la ripartizione della terra, ma anche per la condizione dei suoi abitanti.

Influenza delle città sulla situazione delle campagne

 La profonda trasformazione delle classi rurali nel corso del XII e del XIII secolo non fu conseguenza soltanto della crescente densità della popolazione. Essa fu dovuta in gran parte anche alla rinascita del commercio e alla fioritura delle città. L'antica organizzazione feudale, fatta per un'epoca in cui l'assenza di sbocchi commerciali riduceva i prodotti della terra al consumo locale, era destinata necessariamente a crollare quando mercati permanenti avessero assicurato loro uno smercio regolare. Fu proprio ciò che accadde dal giorno in cui le città cominciarono, per così dire, a risucchiare la produzione delle campagne che garantiva il loro sostentamento. È assolutamente erroneo immaginare i primi agglomerati urbani come centri abitativi semirurali e in grado di provvedere autonomamente alla propria alimentazione. All'inizio, e questo carattere è stato sempre conservato nei centri più importanti, la borghesia appare come una classe di mercanti e di artigiani. Volendo usare un'espressione dei fisiocrati del XVIII secolo, essa è dunque una classe sterile, poiché non produce niente che possa servire direttamente alla propria sopravvivenza materiale. La sua esistenza giornaliera, il suo pane quotidiano dipendono dunque dai contadini che la circondano. Finora essi avevano lavorato i campi e raccolto soltanto per se stessi e per il loro signore. Eccoli invece sollecitati, e sollecitati in misura crescente di pari passo col numero e l'importanza delle città, a produrre un sovrappiù, un'eccedenza per il consumo dei borghesi. Il grano esce dai granai. Entra a sua volta in circolazione, sia che lo stesso contadino lo trasporti verso la città vicina, sia che lo venda sul posto ai mercanti che poi lo commerciano.

I progressi della circolazione monetaria e le loro conseguenze

Insieme alla mobilità dei beni della terra si manifesta necessariamente un progresso della circolazione monetaria nelle campagne. Parlo di progresso e non di inizio, perché sarebbe totalmente errato credere, come fin troppo spesso si è fatto, che i primi secoli del Medioevo, ossia i secoli successivi all'VIII, siano stati un'epoca di scambi in natura e non in denaro. Per essere esatti, quella che viene chiamata economia naturale (Naturalwirtschaft) non vi regnò mai in modo esclusivo. Indubbiamente, i canoni dovuti al signore dalla familia feudale si pagavano generalmente con i prodotti della terra. Non c'è nulla di più spiegabile e di più pratico in un sistema in cui questi canoni avevano come unica destinazione l'alimentazione del proprietario; ma non appena il raccolto diviene oggetto di scambio, il suo prezzo è espresso e quindi pagato in denaro contante. Era così già nel commercio intermittente cui bisognava ricorrere in tempo di carestia. Non risulta che si sia mai barattato il grano di cui si aveva bisogno, invece di comprarlo in moneta contante. Del resto, basta aprire i capitolari carolingi per convincersi dell'uso regolare della moneta nelle transazioni minute effettuate per denaratas nei piccoli mercati del tempo. Invero questo uso fu assai ristretto, ma non certo sconosciuto; l'organizzazione economica dell'epoca lo riduceva a ben poca cosa perché era incompatibile con un'autentica attività commerciale. Ma non appena questa attività ridivenne normale e regolare, la circolazione monetaria, che non era mai scomparsa, progredì di pari passo con i traffici. Le prestazioni in natura non scomparvero - non sono scomparse in nessuna epoca, neanche nella nostra - ma il loro impiego divenne più limitato, perché la loro utilità diminuì, in una società in cui gli scambi andavano moltiplicandosi. Ciò che avvenne non fu dunque la sostituzione di un'economia naturale con un'economia monetaria (Geldwirtschaft), ma molto semplicemente il fatto che il denaro riprese gradualmente la sua funzione di misura dei valori e strumento di scambio.4

La moneta contante aumentò come conseguenza diretta della generalizzazione del suo impiego. La moneta in circolazione nel XII e nel XIII secolo fu infinitamente superiore a quanto fosse stata dal IX alla fine dell'XI secolo. Ne risultò un rialzo dei prezzi che, naturalmente, tornò ovunque a vantaggio dei produttori. Ora, questo aumento dei prezzi andò di pari passo con l'affermarsi di un genere di vita in cui le esigenze si facevano più costose. Ovunque il commercio si diffondesse, faceva nascere il desiderio dei nuovi oggetti di consumo che introduceva.

Come sempre accade, l'aristocrazia volle circondarsi del lusso, o quanto meno delle comodità che si addicevano al suo rango. Se si paragona per esempio l'esistenza di un cavaliere dell'XI secolo a quella di un cavaliere del XII secolo, ci si rende subito conto di quanto siano cresciute in un secolo le spese necessarie per l'alimentazione, l'abbigliamento, la mobilia e soprattutto l'armamento. Passi ancora se le rendite avessero manifestato un incremento analogo. Ma in quella classe di proprietari terrieri che era la nobiltà, queste rendite restavano, in piena crisi di carovita, quelle che erano un tempo. Fissati dalla consuetudine, i canoni che gravavano sulla terra erano immutabili. Non c'è dubbio che i proprietari ricevessero dai loro uomini di che continuare a vivere come si era sempre vissuto fino ad allora, ma non come si auguravano ora di fare. Erano vittime di un sistema economico obsoleto che impediva loro di ricavare dal capitale fondiario una rendita proporzionale al suo valore. La tradizione vietava loro la possibilità e perfino l'idea di aumentare le prestazioni dei tributari o le corvé dei servi, imposte consacrate da un uso secolare e divenute diritti ai quali non si poteva attentare senza provocare le più pericolose ripercussioni economiche e sociali.

Trasformazione dell'organizzazione dominicale

Incapaci tanto di resistere ai loro nuovi bisogni, quanto di trovare il modo di soddisfarli, un gran numero di nobili finirono, prima per indebitarsi, poi per rovinarsi. Alla metà del XIII secolo, Thomas de Campitré riferisce che, nella sua parrocchia natale, il numero dei cavalieri è passato dalla sessantina che erano ancora alla fine del secolo precedente, a uno o due.5 E non c'è dubbio che questo evento locale sia la conferma di un fenomeno generale. La stessa Chiesa non ne uscì indenne. L'arcivescovo di Rouen, Eudes Rigaud, descrive nella stessa epoca la situazione della maggior parte dei piccoli monasteri della sua diocesi come singolarmente difficoltosa.6

Evidentemente, i grandi proprietari laici ed ecclesiastici resistettero meglio alla crisi, anche se a prezzo di una rottura più o meno completa con l'organizzazione dominicale tradizionale. Troppo inveterata per potersi trasformare, essa poteva almeno essere resa meno costosa e permettere in parte un rendimento più remunerativo. Molte sue istituzioni, dopo l'avvento della nuova stagione commerciale, erano divenute inutili superfetazioni. Che bisogno c'era ancora di quegli opifici domestici (ginecei) che, nella sede di ogni «corte» importante, immobilizzavano varie decine di servi per fabbricare, assai peggio degli artigiani della vicina città, le stoffe e gli utensili agricoli?

Si lasciò che scomparissero quasi ovunque, nel corso del XII secolo. E la stessa ragione indusse a vendere i lontani possedimenti che i monasteri senza vigneti possedevano nelle regioni vinicole.7 Dal momento che il vino poteva essere comprato sul mercato, perché continuare a rifornirsene sulle proprie stesse terre, affrontando enormi spese? Quanto alla riserva signorile, era raccomandabile trasformarne in mansi la maggior parte possibile, dato che il suo rendimento mediante corvé era scarsamente produttivo, ed era preferibile distribuire le terre dietro pagamento di canoni in denaro piuttosto che accumularne i raccolti, a rischio di vederli andare in malora o bruciati in qualche incendio.

Evidentemente, l'obiettivo che si propongono gli «amministratori» più astuti è di aumentare il più possibile i loro proventi in denaro contante. Ciò li induce naturalmente alla soppressione o all'attenuazione della servitù. Affrancare un uomo per un controvalore monetario è doppiamente un buon affare: in primo luogo perché il servo paga per la propria libertà, e poi perché, se il signore rinuncia alla proprietà della persona del suo servo, quest'ultimo non rinuncia a coltivare il suo podere. Se lo vuole, potrà conservarlo, ma a condizioni più vantaggiose per il signore; se preferisce andarsene, non ci sarà nulla di più facile che sostituirlo con un altro colono. Tuttavia, per numerosi che siano stati nel corso del XII secolo, gli affrancamenti, come è noto, non hanno posto fine all'esistenza della classe servile. Ma quest'ultima, pur sopravvivendo, ha perduto molto della sua primitiva natura. Ai contadini è stato concesso di riscattare col denaro le corvé e le prestazioni di ogni sorta che gravavano sulla loro persona. Se i vecchi termini di manomorta, prima scelta, diritti matrimoniali8 si sono conservati talvolta sino alla fine dell'Ancien Régime, le realtà che designano si sono alquanto svuotate. Anche se continuano a esistere, le corvé sono ormai servizi piuttosto leggeri a paragone degli obblighi che comportavano un tempo. I signori non sono scomparsi in alcuna regione, ma ovunque il loro dominio sugli uomini si è attenuato; del loro antico carattere patriarcale resta ben poco.

Più l'evoluzione si accentua, più il grande proprietario tende ad avvicinarsi alla situazione di un possidente terriero, di un landlord.

La maggior parte dei contadini affrancati si è trasformata in fittavoli ai quali la terra è stata ceduta mediante un censo quasi sempre ereditario. Tuttavia, nel corso del XIII secolo, nelle regioni più progredite si propaga la forma dell'affitto agricolo a tempo determinato. Molte antiche «corti» sono affittate a ricchi lavoratori. Eudes Rigaud consiglia agli abati della sua diocesi di affittare le loro terre il più spesso possibile.9 Nel Sud, per esempio nel Rossiglione, i fitti fondiari da due a sei anni sono di uso corrente. Oltre a questi ultimi, erano largamente praticati anche i fitti a mezzadria o a compartecipazione.10

Influenza del commercio sulle campagne

È estremamente importante rilevare che l'attenuazione del regime signorile è stata proporzionale allo sviluppo del commercio. In altri termini, è stata molto più rapida nei paesi in cui esistevano grandi città e un traffico intenso, come la Lombardia, la Toscana, il nord della Francia, la Fiandra o le rive del Reno, piuttosto che nella Germania centrale o in Inghilterra. Soltanto alla fine del XIII secolo il sistema dei manors comincia a modificarsi in quest'ultimo paese, mentre già dalla metà del XII i sintomi del suo disfacimento si moltiplicano nella regione fiamminga. Qui, secondo ogni apparenza, il progresso economico ha provocato, in modo più completo che altrove, l'eclissi della servitù. Nel 1335, gli scabini di Ypres potranno scrivere: «ormai non abbiamo più persone di condizione servile, di manomorta o di qualunque altro regime».11

Inoltre, l'influenza crescente del commercio, quanto meno lungo le grandi vie di transito e nell'entroterra dei porti, ha avuto come risultato di dividere le colture in funzione della natura del suolo e del clima. Fintantoché la circolazione era stata nulla o insignificante, ci si era dovuti arrangiare, facendo produrre a ciascun feudo la maggior varietà possibile di cereali, dato che non si era in condizione di procurarseli sul mercato. A partire dal XII secolo, al contrario, il progresso dei commerci promuove una razionalizzazione dell'economia. Ovunque si possa contare sull'esportazione, si chiede a ciascun terreno ciò che è adatto a fornire con la minima spesa o con una qualità superiore. A partire dal XII secolo, le abbazie cistercensi dell'Inghilterra si specializzano nella produzione della lana; il guado, una sorta di indaco del Medioevo, è coltivato nel sud della Francia, in Piccardia, nella Bassa Normandia, in Turingia, in Toscana; la vite si espande, soprattutto a danno del grano, in tutte le regioni dove fornisce un vino generoso, abbondante e di facile trasporto. Salimbene ha giustamente osservato che, se i campagnoli della valle d'Auxerre «non seminano e non mietono», è perché il loro fiume porta fino a Parigi il loro vino, che vi si vende «nobilmente».12 D'altro canto, il Bordolese rappresenta l'esempio certamente più tipico di una regione in cui è stato il commercio a determinare le colture. Attraverso l'estuario della Gironda e La Rochelle, i suoi vini si esportano in quantità sempre crescenti verso le coste dell'Atlantico, in Inghilterra, nel bacino del Mare del Nord e in quello del Baltico. Alla fine del XII secolo, già si diffondono dal porto di Bruges fino a Liegi, dove fanno la concorrenza a quelli del Reno e della Mosella. All'altro capo dell'Europa, la Prussia si consacra da parte sua alla coltura del grano, che i battelli della Hansa trasportano in tutti i porti dell'Europa settentrionale.
  
Progressi nella mobilità della terra

Per concludere, è opportuno constatare che la crescente intensificazione dell'attività economica conferisce alla terra una mobilità che sconvolge la sua tradizionale divisione. La primitiva uguaglianza dei mansi e degli Hufen fa posto a poco a poco a proprietà rurali di estensione variabile, che sono composte da appezzamenti acquisiti da uno stesso colono e costituiscono un'unica coltivazione. Ora che il contadino trova nella vicina città un mercato per le sue derrate, comincia a conoscere il piacere del risparmio, come pure quello del guadagno, e per i risparmi non c'è miglior impiego dell'acquisto di nuova terra. Ma questa terra è ricercata anche dalla borghesia. Essa assicura ai ricchi mercanti delle città il miglior investimento per i proventi del loro commercio. Nel XIII secolo, un gran numero di borghesi comprano terre sottoposte a censo nelle campagne. Nella Fiandra, i capitalisti partecipano alle opere di prosciugamento dei polders. In Italia, i banchieri senesi e fiorentini diventano acquirenti di signorie e, nel XIV secolo, i soci che curano i loro affari in Francia, in Inghilterra e nella Fiandra vi manifestano un appetito di terre non inferiore.

Non dobbiamo tuttavia abbandonarci a un'eccessiva generalizzazione di fenomeni tipici solo delle rare regioni in cui il capitalismo è riuscito a svilupparsi con tutte le conseguenze che gli sono proprie. In realtà, la trasformazione dell'organizzazione agricola e della condizione delle classi rurali è stata assai lenta in tutte le parti dell'Europa che restavano al di fuori delle grandi vie commerciali. Del resto, anche nei luoghi in cui i progressi sono stati più rapidi, l'impronta del passato resta profonda. Le superfici coltivate raggiungono un'estensione a quanto pare sconosciuta a ogni altra epoca anteriore, ma questa estensione è infinitamente lontana da quella che ricopriranno ai nostri giorni. I metodi di coltura sembrano essere rimasti stazionari: l'uso dei «fertilizzanti» era conosciuto a stento in qualche regione privilegiata; ovunque si resta fedeli ai metodi tradizionali di rotazione. Nonostante l'attenuazione della servitù, il contadino resta nondimeno sottomesso alla giurisdizione signorile, alla decima, ai diritti di banno e a tutti gli abusi di potere contro i quali le autorità pubbliche non lo proteggono o lo proteggono insufficientemente. Tutto considerato, la massa rurale, che per numero costituisce la stragrande maggioranza della popolazione, ha ancora una parte puramente passiva. Nella gerarchia sociale non c'è posto per il contadino.

Note

1 Bibliografia: oltre alle opere citate nella nota 1 del presente capitolo, si veda: ED. BONVALOT, Le tiers état d'après la charte de Beaumont et ses filiales (Parigi 1884); M. PROU, Les coutumes de Lorris et leur propagation au XIIe et au XIIIe siècle, in «Nouv. Rev. Hist. du droit francais», t. VIII, 1884; L. VANDERKINDERE, La loi de Prisches, in Mélanges P. Fredericq (Bruxelles 1904); M. BATESON, The laws of Breteuìl, in «English hist. review», t. XV, 1900; F. goblet d'alviella, Histoire des bois et forèts en Belgique, t. I (Bruxelles 1927); A. SCHWAPPACH, Grundriss des Forst und Jagdwesens Deutschlands (Berlino 1892); E. DE BORCHGRAVE, Histoire des colonies belges qui s'établirent en Allemagne pendant le XIIe et le XIIIe siècle («Mém. Acad. de Belgique», Bruxelles 1865); R. SCHOREDER, Die Niederländischen Kolonien im Norddeutschland zur Zeit des Mittelalters (Berlino 1880); E. O. SCHULZE, Niederlandische Sièclelungen in den Marschen an der unteren Weser und Elbe im XII un XIII Jahrhundert (Hannover 1889).

2 Sull'organizzazione dei feudi cistercensi, si veda per esempio Le polyptyque de l'abbaye de Villers (metà del XIII secolo), pubblicato da É. DE MOREAU e J. B. GOETSTOUT, negli Analectes pour servir à l'histoire ecclésiastique de la Belgique, t. XXXII e XXXIII (1906, 1907).

3 H. PIRENNE, Histoire de Belgique, t. i, 5a ed., p. 156. Le regioni romanze vicine alle Fiandre appaiono ancora estremamente popolate nel XII secolo; da esse partì un forte flusso migratorio verso la Slesia che raggiunse anche l'Ungheria. La città di Esztergom a quanto pare deve a loro la sua origine. Nel XII secolo vi si trovava un vicus latinorum abitato soprattutto da gente proveniente dalla Lotaringia e dall'Artois. K. SCHÜNEMANN, Die Entstehung des Städtewesens in Südosteuropa (Breslavia 1929).

4 H. VAN WERVEKE, Monnaie, lingots ou marchandises? Les instruments d'échange aux XIe et XIIe siècles, in «Annales d'histoire économique et sociale», 1932, p. 452.

5 THOMAS DE CAMPITRÉ, Bonum Universale de apibus, n, 49, p. 466 dell'edizione di Douai del 1605.

6 Journal des visites pastorales d'Eudes Rigaud, archevèque de Rouen (1248-1269), a cura di Th. Bonnin (Rouen, 1852).

7 Nel 1264, l'abate di Saint-Trond vende al monastero di Himmerode i suoi vigneti di Pommeren e di Briedel sulla Mosella. Si vedano i testi relativi a questo caso in LAMPRECHT, Deutsches Wirtschaftsleben, t. III, p. 24 sgg.

8 L'autore si riferisce ai diritti che il signore percepiva sui matrimoni che i servi contraevano fuori del feudo o con persona di diversa condizione sociale (n.d.t.)

9 Si veda il suo Journal, già citato nella precedente nota 12. Nel 1268, l'arcivescovo consiglia a un abate «quod quarti melius posset, maneria adfirmam traderet» (p. 607). Lui stesso concede in affitto parecchi possedimenti per due, tre o quattro anni a borghesi o a chierici. Ivi, p. 766 sgg.

10 J.-A. BRUTAILS, Étude sur la condition des populations rurales du Roussillon au MoyenAge, p. 117 sgg.

11 BEUGNOT, Les Olim., t. II, p. 770.

12 M. BLOCH, Les caractères originaux de l'histoire rurale française, cit., p. 23.

Di Henri Pirenne, estratti "Storia Economica e Sociale del Medioevo", 2012, Titolo originale: "Le mouvement économique et social du Xe au XVe siècle", traduzione dalla I edizione del 1993 di Maurizio Grasso, Newton Compton Editori, Roma, capitolo III (2).  Adattato e illustrato per essere pubblicato da Leopoldo Costa.

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